|
Claudio Baglioni, 54 anni, cantante, autore di "Senza Musica"
(Bompiani) |
Il vate della maglietta fina ha scritto
un libro ambizioso. E ha incontrato il guastatore di Panorama
che non gli ha risparmiato nulla: dalla tintarella totale alle
sbandierate amicizie con De Luca e Sgalambro. Ecco come ha reagito
Un effetto Tutankhamen lo restituisce immacolato ai fan.
Lui è «l'uomo della storia accanto». È vestito di bianco, ha la
giacca che gli fascia lo stomaco con la levità di un bendaggio.
Claudio Baglioni, il ragazzo buonissimo che faceva il pendolare
sul bus tra Prenestino e Tiburtino, a Roma, ha scritto un
libro, Senza musica.
Adesso è un uomo dello spettacolo corazzato dagli artifici
della cura e della cosmesi.
Pare che perfino nei suoi signorili uffici ai Parioli, sul
terrazzo, abbia una piscina dove poter far gruzzolo della
tintarella, e chissà che non sia il sole a cucinargli con la
prestanza del fisicaccio anche quei suoi pensieri.
Il suo fraseggio è stato il più efficace poema pop per i
cinquantenni d'Italia.
Ne ha fatto la felicità di tutta una memoria collettiva con il
solo ingrediente dell'innocenza. «La sentinella della radice
musicale» snocciola con disarmante familiarità «si adegua al
giorno del congedo».
È lui che ha scoperto la cosa più semplice: il vero sabato del
villaggio, il luogo leopardiano, è il suo sabato pomeriggio. Per
questo lo chiamano a Recanati per il Premio di poesia. Laureato
davvero, in architettura, non ha avuto alcuna laurea honoris
causa, come invece Vasco Rossi a Milano o Paolo Conte a Macerata.
Sul mancato dottorato di Franco Battiato dice: «Dovrebbero
darla a Manlio Sgalambro la laurea». Baglioni ha preziose malizie:
«I senati accademici hanno l'ansia dello spettacolo, usano il
metro della popolarità, solo che trovano più comodo laureare le
canzoni piuttosto che leggere i libri di Sgalambro».
Tra gli esempi previsti nel suo corso di laurea, Baglioni scelse
scienza della comunicazione. La professoressa non gli fece la
domanda a piacere, bensì una, precisa, su come organizzò il suo
concerto all'Olimpico nel 1998. Lui recitò come un'Ave Maria,
spiegò tutto alla perfezione ma rimediò un mesto 26: «Forse le
sembrava esagerato darmi 30 e lode. Me lo meritavo».
Fortunatamente Baglioni non si prende sul serio.
Si trincera nella «diffidenza dei musicanti leggeri» verso la
mondanità dei mondani «che si conoscono solo tra di loro», verso «il
vippismo dei firmaioli dell'impegno», verso quel «videocitofono»
infine, la televisione: «Chiunque vi si può affacciare».
La cosmesi è cosmesi: «Tutto diventa brutto e triste. Fanno fare
le prove a telecamere spente, i registi fanno sempre finta di
avere tutto sotto controllo.
Ma le luci? Fa bene Renato Zero a strillà: "Ah Nì, nun è che poi
me metti 'e luci che me fanno vecchio d'artri trent'anni?"».
Il suo mondo è lo spettacolo, non è quello del reality: «La gente
che va ai concerti, a teatro, organizza la propria serata, si
prepara, cerca un parcheggio, entra, si accomoda e si sente
persona. Assiste all'arte che non ha riproducibilità tecnica.
Lo spettacolo vale una volta per tutte. Chi se ne sta
dimenticato su una poltrona, invece, davanti a un televisore
acceso, è solo un numero, un tristanzuolo dato Auditel».
Baglioni, che si fa vanto di essere stato inserito nell'antologia
degli «irregolari», un prezioso libro di LiberalLibri di qualche
anno fa, non ha altri riferimenti che il suo pubblico: la sua è
un'Italia trasversale in età, geografia e gusti.
Avrebbe voluto scrivere lui tutte le belle canzoni italiane degli
anni 60; la più bella in assoluto, dice, è Se telefonando.
È una canzone di Maurizio Costanzo. «A guardarlo» si fa
beffardo «nessuno ci crederebbe, ma anche Cristiano Malgioglio ha
fatto belle canzoni».
Claudio Baglioni, che ha consegnato alle librerie un volume, a
cura di Giuseppe Cesaro, edito dalla Bompiani (asSaggi di
narrativa, euro 14,00), non si rende conto di avere fabbricato la
melodia obbligata della maglietta fina e, ovviamente, Alè-oh-oh.
Ma forse un po' se ne rende conto: «Anche negli stadi
inglesi adesso cantano Alè-oh-oh». Ancora oggi lui è quello
che a 17 anni si guadagna la lira suonando la chitarra in un disco
di Domenico Modugno. Fa tenerezza la sua sincerità,
ammira Franco Migliacci, oggi presidente della Siae, non tanto
per avere scritto Vecchio frac, ma per aver fatto da
paroliere a uno dei brani che fanno da colonna sonora al mondo
intero, il tema della Pantera rosa.
Nessuno conosce il testo perché il celebre «pà-pàpà-pàpàpà-pàààà»
non è mai stato cantato, ma le parole sono regolarmente
vincolate al diritto d'autore e, ogni volta che viene suonato,
sono piccioli che arrivano a Migliacci.
La devozione di Baglioni per le parole senza musica è totale.
Dovette dirglielo Giuseppe Berto che lui l'aveva un privilegio:
quello di «creare nella forma breve e catturare la memoria e il
sentimento della gente».
Erano gli anni in cui il grande scrittore raccoglieva il successo
dell'unico grande libro della letteratura italiana contemporanea,
Il male oscuro, e il ragazzone con i capelli a paralume non
credeva di meritare questa considerazione. Tre minuti di miagolio
che danno calduccio, il tempo di una canzone, dice: «Non fanno la
grandezza della parola asciutta, senza melodie».
Un suo amico è Erri De Luca, Baglioni che ha sempre scritto
(«con spaventosa fatica») i testi delle proprie canzoni vorrebbe
tentare la contaminazione alta, ma gli è che proprio De Luca
vorrebbe fare al contrario: riuscire a scrivere al modo di
Baglioni, le parole nella forma breve che restano a galleggiare
nei negozi, al bar, negli uffici, dentro le automobili.
La sensazione del successo la ebbe quando, ancora pendolare tra
Prenestino e Tiburtino, si ritrovò a scrutare le case dal bus.
Fu colto da un brivido al pensiero di qualcuno che in quel
momento, nella soffusa apnea delle finestre, stesse ascoltando le
sue canzoni. Perfino chi non lo sopporta lo conosce per forza.
E adesso tutti cominceranno a leggere le sue parole.
C'è suo padre che gli spiega come raccogliere le briciole del
pane coi polpastrelli, poi c'è lui che sogna di suonare al
pianoforte, bendato. Suona una canzone che non finisce mai.
Non capisce se intorno a lui c'è un pubblico o un plotone
d'esecuzione. Di sicuro è un'esecuzione a vita, spera solo sia una
bella esecuzione.
|